Teatro

Debutto a Londra per "The Trial of Mussolini" di Michael Foot

Debutto a Londra per "The Trial of Mussolini" di Michael Foot

Londra, 1944. Braccia conserte e mascella serrata di fronte a un'immaginaria giuria inglese convocata per processarlo, Mussolini si riscuote e dice sprezzante ai suoi accusatori: «L'unica legge che esiste fra gli Stati è la legge della giungla. I deboli sono colpevoli e i forti sono nel giusto». L'aula trattiene il fiato. «Gli statisti non commettono crimini, perché in politica non c'è codice penale. Se mi impiccate, la cerimonia non metterà fine all'adorazione della forza. Il potere resterà il dio delle nazioni». E' un pugno nello stomaco della platea del Theatro Technis di Londra, dove l'altra sera è andato in scena, in prima mondiale, The Trial of Mussolini, appassionato verbale di un plausibile processo al duce per crimini di guerra, quale l'autore Michael Foot, futuro leader laborista britannico, immaginava che si sarebbe tenuto all'epoca in cui lo scrisse, nel 1943. Denso e magnificamente argomentato, il testo divenne tanto popolare quanto controverso in tempo di guerra: è infatti un formidabile atto d'accusa anche contro l'Inghilterra conservatrice dei politici come Neville Chamberlain e dei baroni della stampa quali Lord Rothermere, che tante parole di miele avevano a loro tempo speso per adulare e appoggiare il fascismo italiano, e che in teatro vengono trascinati sul banco dei testimoni dal sopraffino avvocato di Mussolini. Ce n'è anche per Churchill, di cui la difesa si limita a citare l'esuberante discorso del 1927 con cui il futuro premier fece le feste al duce: «Se fossi stato italiano, sarei stato con voi dal principio alla fine contro gli appetiti bestiali del leninismo». Secondo la tesi del Processo, se l'Inghilterra avesse preso subito posizione per condannare il delitto Matteotti o prevenire la guerra d'Abissinia, Mussolini non avrebbe avuto la possibilità di commettere ulteriori crimini. Resta tuttavia straordinario che Il processo a Mussolini non sia mai stato rappresentato finora. Perché?, chiede La Stampa a Michael Foot, 94 anni, leader laborista d.o.c. e capo dell'opposizione tra il 1980 e il 1983. «Ah - risponde lui con un mezzo sorriso - forse perché chiamava in causa anche i leader inglesi ed era troppo dalla parte degli italiani che combatterono il fascismo. Ma sono veramente felice che sia finalmente andato in scena adesso». La regìa è di Alfio Bernabei ed ha già fatto scalpore, al punto che altri teatri si contendono adesso il testo di Foot, già amico di Ignazio Silone. Il suo è anche un processo all'Inghilterra dell'appeasement, e sul banco dei testimoni chiamati dall'immaginaria difesa di Mussolini per sottrarlo alla pena capitale ci sono fior di ministri, nonché Lord quali Halifax e Simon. Quale crede che fosse il peggiore fra loro? «Neville Chamberlain - risponde Foot - perché trattò con Mussolini fino alla vigilia della guerra. Avevo appreso quanto stava succedendo dagli antifascisti italiani ed eravamo molto arrabbiati con i nostri leader». E si sente. Al pm che, citando la soppressione del Parlamento italiano e tutti i trattati internazionali di non aggressione «proditoriamente infranti» da Mussolini come motivo sufficiente per condannare rapidamente il prigioniero alla pena di morte, la difesa replica infatti che «le questioni di moralità politica sono questioni di opinione» e infine, dopo aver messo in luce le aperte complicità inglesi precedenti la guerra, riesce ad eliminare dai capi d'accusa la condanna del fascismo di per sé. Per giunta l'imputato, interpretato con vigore da Richard Gofton, accusa gli inglesi di non aver avuto nessun problema a conquistare l'India o mezza Africa ma di avere «una speciale tradizione per negarlo»: «Belate come agnelli ma vi comportate come tigri». Al pm che era così sicuro di ottenere la pena di morte per il prigioniero al punto da non schierare i propri testimoni risponde il giudice, che «a nome dell'altra Inghilterra che ha detestato il fascismo fin dall'inizio» dispone l'intervento drammatico di un abissino, di una spagnola e di un'italiana. E per Bernabei il testo assume oggi una nuova dimensione di attualità. Mussolini - spiega - chiede ai testimoni: «Prima mi aiutavate e ora vi rivoltate contro di me: perchè? È una domanda che anche Saddam Hussein avrebbe potuto fare».